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Gas e luce: gli aumenti in bolletta e il dogma del mercato

Su «Avvenire» di oggi 7 ottobre 2020, Pietro Saccò, caposervizio per l’economia, risponde ad un lettore di Udine che aveva posto una sua perplessità in una lettera indirizzata al quotidiano d’ispirazione cattolica. La domanda era la seguente: “Perché gli aumenti sulla bolletta di luce e gas?”. Una questione, se vogliamo, ovvia: per quale motivo si continua ad aumentare le bollette, come se non si contasse il periodo di lockdown, le persone licenziate, le aziende chiuse? E potremmo continuare l’elenco.
Si tratterà, a spanne, di un aumento in bolletta del +15,6% per quel che riguarda la luce e di +11,4% sul gas. La bolletta di ottobre sarà la prima che vedrà tali aumenti. Il giornalista dell’«Avvenire» risponde: «anche quello dell’energia elettrica e del gas è un mercato dove i prezzi cambiano in base a diverse variabili […] le due principali sono i costi di produzione e l’incontro fra domanda e offerta».

Da una parte c’è il mercato tutelato, dall’altra il mercato libero: «molte famiglie hanno firmato contratti con i venditori di elettricità e gas che spesso stabiliscono un prezzo fisso per kilowattora o metro cubo di gas per uno o due anni di fornitura», si legge nella risposta.
Dall’altra c’è l’Arera, cioè l’autorità di regolamentazione del mercato che stabilisce la tariffa più adeguata «in base allo scenario del mercato».
Come già scrivevamo tempo fa riguardo Acea: trattasi di Spa, cioè, società per azioni. Votata ai profitti e non ad erogare un servizio di qualità ed efficiente per gli utenti. Anche se Saccò affermi come l’aumento in bolletta faccia risultare il costo finale da pagare come minore rispetto ad un anno fa, in termini numerici e di percentuale, la questione di fondo permane invariata. Perché sempre quello è il nodo gordiano: il mercato. L’entità astratta in cui i capitalisti di mezzo mondo giocano con le vite delle persone comuni. Vale la pena citare la nuova enciclica del Papa, “Fratelli tutti” a riguardo: «Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del “traboccamento” o del “gocciolamento” – senza nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali. Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’iniquità, la quale è fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale».

La pandemia da Coronavirus ha portato ad un crollo della domanda: il sistema del rapporto domanda/offerta, cioè il capitalismo, è andato in crisi proprio per questo. Non solo. Si afferma dalle parti di Montecitorio, come sia impossibile immaginare un nuovo lockdown: “l’economia ne risentirebbe”. I capitalisti pensano a questo: ai profitti e a come farli, facendo pagare le perdite ai contribuenti.
Tradotto: ci sono le perdite? Bene, tassiamo le bollette. Chi parla in prima persona singolare dei “guadagni dell’azienda” che dirige, è il primo che pone la persona plurale quando c’è da perdere: “le nostre perdite”. I “miei” guadagni, le “nostre” perdite. Il gioco è sempre lo stesso: le perdite vanno condivise, i profitti individualizzati. Un gioco a perdere a cui sembra che i capitalisti nostrani, così come quelli stranieri, non vogliono rinunciare: è su quello che basano il loro patrimonio. Così è stato, così è, così non sarà in eterno.

Marco Piccinelli

Fonte foto © AFP / Sole 24 Ore

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