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Finocchio, 500 bottiglie di birra dicono “no!”

Nella giornata di ieri, nel parcheggio antistante la fermata della Metro C Finocchio, le bottiglie sparse e lasciate per terra sono state disposte in modo da formare una parola: “NO!”. Con tanto di punto esclamativo. «Abbiamo raccolto circa 500 bottiglie di vetro nel parcheggio della metro C di Finocchio», a parlare è Cristina Silva Cencioni del gruppo Retake Borghesiana-Finocchio, una delle attiviste e attivisti presenti nell’azione della giornata di ieri 16 giugno 2020.

Ripresa dell’attività
Il lockdown ha fermato tutte le attività sociali e, dunque, anche le azioni di pulizia promosse dai gruppi Retake sono state interrotte: «siamo a “ranghi ridotti” ma abbiamo deciso comunque di rimetterci in moto, nonostante Ama per il momento non passi a prendere i sacchi che lasciamo a seguito della nostra pulizia: abbiamo portato le bottiglie alla campana per la raccolta del vetro più vicina».

«Da un lato vogliamo far capire ai cittadini che quel che facciamo non è sostituirci alle amministrazioni ma collaborare con loro e fare quello che esse non dovrebbero fare: si tratta di civiltà», afferma Cristina Cencioni. «Non possiamo chiedere al Municipio né ad Ama di stanziare risorse per fare quel che abbiamo fatto ieri, piuttosto dovrebbe essere l’impegno civico di ognuno», ha proseguito, «avremmo potuto limitarci a scrivere al municipio per denunciare la situazione e incentivare all’intervento di una squadra dell’Ama perché venga a raccogliere. Sappiamo, però, che quel lavoro viene pagato come extra».

Per azioni e profitti, non per “decoro”
Un extra che non è concepito positivamente dalla società per azioni che opera nel servizio ambientale di Roma, cioè l’Ama, in quanto il fine ultimo dell’azienda è quello del profitto e che, di nuovo, è tornata all’attenzione della procura, come ha riportato «Il fatto quotidiano» del 12 maggio 2020:

«Almeno quattro anni di falso in bilancio, fra il 2013 e il 2016, per circa 445 milioni di euro e la “distrazione”, nel 2019, di altri 250 milioni di competenza del Comune di Roma serviti per pagare le banche che minacciavano la chiusura delle linee di credito. Così, secondo le ipotesi del nucleo di polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Roma, in questi anni l’Ama Spa – la società capitolina che si occupa della raccolta dei rifiuti e dell’igiene urbana in città – avrebbe protetto i propri conti dalla fortissima esposizione nei confronti delle banche. Alla base delle operazioni contabili contestate c’è la Tari, la tariffa rifiuti che Ama incassa dai cittadini soltanto in qualità di ente riscossore, ma che poi riversa (o dovrebbe riversare) al Comune di Roma. Ma invece che nelle casse capitoline, una buona fetta di soldi sarebbero finiti agli istituti di credito. Secondo i finanzieri agli ordini del colonnello Gavino Putzu, che nella mattinata di martedì si sono recati in Ama per il sequestro dei relativi documenti contabili, gli esercizi dal 2013 al 2016 (ultimo bilancio approvato) hanno rappresentato “un quadro aziendale caratterizzato da una totale confusione fra il patrimonio proprio ed il patrimonio di pertinenza di Roma Capitale”. Soprattutto “la Tari non fa parte del suo patrimonio e, dunque, dovrebbe essere indisponibile per la partecipata”».

Il fine di Ama permane quello del profitto, non tanto del decoro urbano: l’efficienza dell’Ama, in tal senso, si misura in quanti utili essa ha prodotto e non nel risultato finale di un effettivo municipio (o quartiere in questione) realmente pulito dall’immondizia. «Proteggere i propri conti dalla fortissima esposizione nei confronti delle banche», come ha riportato l’articolo del «Fatto quotidiano», si traduce in un perenne sistema di vasi comunicanti a cui il capitalismo cittadino e municipale non sa più dare risposte concrete, lasciando l’iniziativa al volontariato.

Marco Piccinelli

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