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In rosso

Riceviamo e pubblichiamo un testo, uno sfogo, una riflessione a firma «donna con un’ala soltanto» attorno all’omicidio Cecchettin, femminicidio.

Vorrei parlare poco, ma non mi è possibile.

Sono “femmina” e forse dovrei “imparare a stare zitta”, ma questo sentimento non può essere sepolto e quindi farà bruciare tutto.

Una dolce “fuga amorosa” ha catturato la nostra attenzione ormai da più di una settimana, così ci comunicano i giornali. Predomina il colore rosso: un cuore rosso d’amore, un cuore grande, che ama troppo e che non è in grado di lasciare andare; ed è così che il corpo di Giulia Cecchettin viene ritrovato: rosso.

Rosso: color di passione. Rosso: colore di sangue. Rosso: colore di rabbia. Rosso.

Anche il poeta latino Virgilio l’aveva capito: l’eros rende irrazionali sia gli uomini che gli animali e, come l’animale, l’uomo uccide. E diviene quindi amore, o così viene chiamato, che porta alla morte. Una morte che appare un sacrificio, perché ormai non ci si sacrifica più per il bene dell’altro, ma si sacrifica direttamente l’altro.

Ma scaviamo più infondo, arriviamo a queste radici, o almeno proviamoci.

Femminicidio: «i femminicidi – stando a quanto scritto in Parlamento – sono gli omicidi volontari di una donna in quanto donna»”.

Femminismo: “una gamma di movimenti sociali e politici che mirano a definire e stabilire l’uguaglianza politica, economica, personale e sociale dei sessi”.

E se allora queste sono le vere definizioni di questi grandi mostri, perché sentiamo ancora uomini dire: «allora perché non si parla di omicidi maschili?».

E si sposta così la nostra cura sulle richieste di attenzione dell’uomo, inteso come maschio e “figlio sano del patriarcato”.

Patriarcato: “Storicamente, il termine patriarcato è stato usato per riferirsi al dominio autocratico da parte del capo di una famiglia. Tuttavia, in tempi moderni, si riferisce più generalmente al sistema sociale in cui il potere è prevalentemente detenuto da uomini adulti”.

La disinformazione, quindi, porta al non-comprendere e neanche provare a farlo, ciò che sta succedendo e capire che non è la prima volta.

Il genere debole, così raffigurato dalla società di tutti i tempi, nei secoli e nella letteratura è stato rappresentato diversamente. Ludovico Arioso descriveva Angelica come una vera forza: la donna è descritta come un cavaliere coraggioso; i cavalieri invece appaiono tali, ma si rivelano deboli e senza carattere. È così che la donna ormai continua a lottare da sola per i propri obiettivi: lasciando per strada alcune compagne di viaggio. Le nostre sorelle ci abbandonano: tra femminicidi e figlie del patriarcato che si sottomettono ai loro padroni. Ed è la stessa donna che spesso non è in grado di riconoscere i campanelli di allarme.

Io uomo, possiedo te donna”; “tu donna, sei solo mia”; “così vestita non puoi uscire”.

Sono queste le frasi ridondanti che ci sentiamo dire dai nostri “padroni”, ma che non ci lasciano via di fuga, sentendoci incatenate a queste relazioni tossiche: ognuno di noi ha il diritto e il dovere di rispettare se stessi e la propria libertà, e tantomeno essa non può essere portata via da un uomo che pensa di poter decidere per noi e controllare la nostra vita.

Si colora di rosso anche il Senato che ad oggi ha approvato il rafforzamento del Codice Rosso, che tutela tutte coloro che subiscono violenze domestiche e di genere; vengono così presi provvedimenti più seri per chi commetterà violenze sessuali, femminicidi, stalking e altri reati simili. Viene inoltre affermato dalla leader del PD, Elly Schlein, che “non basta la repressione se non si fa prevenzione. Approviamo subito in Parlamento una legge che introduca leducazione al rispetto e allaffettività in tutte le scuole dItalia”.

È rosso il rossetto che viene tolto dalle labbra di quelle donne che andarono a votare dopo tante lotte nel 1946: ci mostra così Paola Cortellesi, in «C’è ancora domani», le pene dell’essere donna. La donna contava niente, paragonata a una serva doveva ubbidire e sottostare agli ordini del marito padrone. Ad oggi sono ancora profonde e salde quelle radici che portano in superficie gli atteggiamenti degli uomini, manifestandoli in violenze. Come Machiavelli ci insegna a mantenere il nostro potere ben saldo, partendo dalle radici di un albero o le fondamenta di un palazzo, così noi dobbiamo sradicare quell’albero controllando che non ne ricrescano altri: i “valori” che segue il patriarcato non devono continuare ad avanti negli anni, ma devono morire, al più presto.

Sono ancora una volta “femmina” e forse non è giusto che io ti ringrazi perché “not all man”; perché tu “man” sei come loro se mi dici che non posso uscire con le mie amiche, non posso andare a ballare, non posso indossare quel vestito, non posso. E non ti ringrazierò se tu mi vuoi bene e sei il mio “no, ma è un bravo ragazzo”, perché così dovrebbe essere ed io non dovrei avere paura di stare con te o che tu ti faccia del male per me, facendomi sentire in colpa.

Io. Femmina. Donna. Non devo sentirmi stupita se un ragazzo si comporta con gentilezza nei mie confronti o mi porge una carezza, solo perché sono abituata a ricever commenti, occhiate, colpi di clacson, palpate… senza il mio consenso. E se tu, uomo, che ti ritieni tale, pensi che la mia gonna sopra il ginocchio o le mie foto su Instagram siano un biglietto d’entrata o un , ti sbagli: perché io sarò qui, con le mie sorelle, a dirti ancora un altro no. Parafrasando il testo della canzone di Fiorella Mannoia, “con un grande e deciso no” contro la violenza.

E sono donna, ancora una volta, perché ancora una volta e un’altra ancora sono rosse le scarpe di tutte coloro che subiscono violenze di ogni genere.. e io attendo, attendo una donna vestita di bianco in questo mare di sangue.

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