Domenica 12 e lunedì 13 febbraio si terranno le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale del Lazio.
I candidati maggiori, cioè Alessio d’Amato (Pd, Verdi, Liste civiche), Francesco Rocca (Fd’I, Fi, Lega, Liste civiche), Donatella Bianchi (M5s, Polo Progressista) stanno lanciandosi schermaglie da giorni sull’attribuzione di responsabilità riguardo la situazione legata alle criticità regionali. [1] Se Andrea Camilleri fosse ancora vivo, avrebbe scritto che i tre stanno facendo “un poco di teatro”. La sanità rientra nel “tiatro” proprio di questi giorni finali di campagna elettorale.
D’Amato proviene dalla giunta uscente: ricopriva il ruolo di assessore alla sanità. Nell’aprile del 2021, nell’ambito dell’iniziativa “Fuori dall’emergenza pandemica: buona amministrazione solidarietà” promossa dalla Cgil Funzione Pubblica, in un articolo pubblicato da ‘Collettiva’ (quotidiano digitale della Cgil), viene riportato:
«[…] una rivoluzione gentile che sia in grado di cambiare il sistema sanitario nazionale pubblico, portando ad un maggiore dialogo con tutte le componenti del sistema che fanno parte dell’integrazione sociosanitaria. Da questo punto di vista, l’assessore ha ricordato l’impegno della Regione Lazio per riportare all’interno del perimetro pubblico il sistema delle Rsa. D’Amato ha anche rilevato l’importanza di avere buone relazioni con le organizzazioni sindacali: dagli accordi Covid alle procedure assunzionali (sic!) che hanno fatto la differenza anche nella gestione pandemica, così come l’impegno straordinario per la campagna vaccinale, da qui anche il giusto e doveroso riconoscimento di carattere professionale per gli operatori».
Una “rivoluzione gentile” che dovrebbe dialogare tra servizio sanitario nazionale e “integrazione sociosanitaria”. Bizantinismo letterario per poter permettere un’apertura al dialogo, sempre maggiore, con le strutture private al fine di poter suggerire implicitamente un tacito accordo tra le parti e smantellare il servizio sanitario nazionale.
Stando all’articolo di Stefano Cappellini, pubblicato da ‘Repubblica’ il 16 novembre [2022], ci sarebbe comunque da poter discutere su alcuni nomi posti in essere da D’Amato fin d’ora:
«Da segnalare che, alla direzione dello Spallanzani, D’Amato ha poi nominato il manager Francesco Vaia, un nome che forse non dice molto a tanti, ma la cui storia è ben presente a chi negli anni Zero lesse un fortunato libro-inchiesta sulle ruberie nella sanità laziale firmato proprio da D’Amato, Lady Asl: uno dei capitoli era dedicato proprio a Vaia. “Nella vita – spiega D’Amato – una seconda chance va concessa a tutti. E nella pandemia Vaia ha svolto un lavoro eccellente, tanto da aver ricevuto da Mattarella una delle onoreficenze più alte”. Questioni controverse che non cancellano l’efficacia con cui D’Amato, riunione dopo riunione, sbraitando, ha messo in riga i dirigenti chiamati a far funzionare la campagna vaccinale».
La realtà dei fatti
Rimaniamo nel VI Municipio, rimaniamo in uno dei territori più imponenti, popolosi, poveri e depressi di Roma: qui la sanità è quasi tutta in mano privata o convenzionata. L’esempio del Policlinico Casilino grida vendetta: da polo di riferimento sanitario per tutto il quadrante casilino, ad appendice di Eurosanità Spa. Società per azioni, dunque quotata in borsa, dunque: più malati e più ricoveri significa più guadagno. Profitto sulla pelle dei malati e della periferia.
Il cambio di passo per il ‘Casilino’ è avvenuto nel 2016: dopo 14 anni di gestione privata e statale, la struttura è diventata «ospedale privato accreditato». I medici che ne facevano parte sono rientrati alla Asl di appartenenza e chi ha deciso di rimanere «ha firmato un contratto privato». Tutto questo grazie al decreto regionale della Giunta Zingaretti (Partito democratico) che ha permesso la privatizzazione integrale del polo statale. E questo solo per pensare ai quartieri di Torre Maura e di Torre Spaccata. Se si pensa al Paese nella sua interezza la questione è ben più articolata.
Tagli senza fine
Negli ultimi 20 anni la sanità pubblica ha subìto tagli lineari pari a 37 miliardi di euro. Una cifra davvero “astronomica”. Che direzione hanno preso i 37 miliardi sottratti al servizio sanitario nazionale? In altre parole: dove sono andati quei soldi che prima servivano per mantenere la sanità pubblica e poi sono diventati “in più” perché bisognava “razionalizzare” la spesa?
Una parte dei soldi è servita a finanziare e contenere il debito pubblico e gli interessi sul debito: questi ultimi si aggirano sulla altrettanto enorme cifra di 60 miliardi ogni anno. Questa gigantesca mole di risorse sottratte ai servizi sociali, sanità inclusa, è andata a chi ha comprato i titoli pubblici, cioè ai detentori del debito italiano. Ovvero, principalmente le banche ma non solo quelle “tedesche” o “straniere” come la propaganda sovranista vende un tanto al chilo, principalmente, più di ogni altro, alle grandi banche italiane, assieme alle compagnie di assicurazione. L’ipocrisia giunge al culmine quando si calcola che quelle stesse banche controllano buona parte della grande stampa (giornali, tv, settimanali) che dovrebbe testimoniare “il disastro della sanità”. Con quale obiettività? Nessuna, per l’appunto.
Rocca, D’Amato o Bianchi, si continuerà a privatizzare
L’illusione della campagna elettorale più anonima e infima dell’ultimo lustro sarebbe quella di un futuro cambio di passo sul tema della sanità. O meglio: di una gestione virtuosa che sarà sicuramente tale dato che il centrosinistra ha governato – si diceva – nella fase più difficile della pandemia da Covid-19.
Il punto è che si continuerà a privatizzare e tagliare (anche se le anime belle della politica regionale, capitolina e nazionale preferiscono i termini “esternalizzare” e “razionalizzare) a prescindere da chi vincerà le elezioni (con un’affluenza alle urne sempre minore, ma è una previsione). E a rimetterci saranno le persone: gli esseri umani tutti che vivono le contraddizioni di una classe politica al servizio del capitale e di un sistema economico e sociale profondamente violento, ingiusto e iniquo.
Marco Piccinelli
[1] Si segnala in questa sede che ci sono altre due candidate presidente alla Regione: Rosa Rinaldi (Unione Popolare) e Sonia Pecorilli (Partito comunista italiano), di cui, come spesso accade, nessuno sta menzionando in alcun articolo o invitando ad alcun dibattito televisivo.
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