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Luglio in borgata. Come eravamo.

© Foto Rodrigo Pais

Tanti anni fa, i borgatari nel mese di luglio, svolgevano un’attività frenetica. Tutti o quasi erano impegnati a confezionare la salsa di pomodoro: il lavoro cominciava qualche tempo prima, con la scelta del pomodoro, sammarzano o romanesco, li portava sul posto un signore con un camion che veniva da Napoli o da Latina e per quel giorno bisognava farsi trovare pronti. Si andava in ferramenta a comperare le “bicchierette”, nel cortile di casa si preparavano grosse tinozze piene d’acqua con cui lavare i pomodori, si dovevano lavare e scolare anche le bottiglie, e infine dovevano essere sterilizzate facendole bollire vuote.
Finalmente cominciava la festa: le famiglie si riunivano e i bambini trovavano un ruolo, vecchi rancori venivano messi da parte, sembrava che ogni via, ogni cortile, ritrovasse l’armonia delle vecchie masserie.
Io in questi frangenti avevo il compito di chiudere le bottiglie, le mie sorelle erano addette alla macinatura del pomodoro mentre mia madre, mia zia e mia nonna le riempivano. Mio padre aveva il compito da fuochista: aveva preparato una pira di legna da ardere e su grossi treppiede aveva sistemato uno o due fusti, adagiava le bottiglie che gli passavo isolandole tra loro con degli stracci per evitare che durante la bollitura si rompessero, riempiti i contenitori di acqua infine accendeva un formidabile fuoco. Questo avveniva nel pomeriggio perché l’acqua doveva bollire per alcuni minuti e il fuoco doveva ardere tutta la notte. La giornata passata insieme, la fatica, la gazzarra di noi bambini, tutto concorreva a trasformare la giornata in una festa; come d’incanto uscivano salsicce, pane affettato da bruscare sulla brace, peperoni di tutti i colori. Una tavolata veniva allestita dove prima eravamo intenti a lavorare i pomodori e era festa. Credo che i cittadini di Roma, intendo quelli che abitavano al centro, un po’ ci invidiassero, nonostante noi bistrattati, privi dei servizi primari, privi delle scuole (spesso si facevano i doppi turni), privi di cinema, di teatro, di luoghi di aggregazione; per noi, insomma, che quando andavamo al centro dicevamo che andavamo a Roma, quelli erano momenti di rivalsa.
Magra consolazione.

Giulio Marchetti

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