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Mille e un emendamento, mille e una notte per la legge di bilancio

La giornata di martedì è stata la più rovente e colma di dichiarazioni incrociate, per il governo Meloni, riguardo la Legge di Bilancio. Il battage mediatico si è concentrato sui temi più disparati e sebbene la notte più lunga dell’esecutivo sia stata quella tra lunedì e martedì, l’eco delle dichiarazioni è giunto fino a metà settimana.
Ancora modifiche, caos “in corsia”
Il dibattito che tiene sotto scacco la manovra finanziaria è ancora quello relativo al Pos, alle pensioni e al reddito di cittadinanza. Nicola Pini di «Avvenire» riporta l’operato del governo con un nome preciso: retromarcia. Se inizialmente la manovra prevedeva un massimo di erogazione del Reddito di cittadinanza per 8 mesi, ora si prevede di scendere a 7. L’indennità di disoccupazione (Naspi) regge ancora, ma era già stata presa di mira dal governo, chissà che non spunti fuori un altro emendamento ad hoc nelle prossime ore. Sembrano lontani i tempi della conferenza stampa di un mese fa, quelli della “manovra coraggiosa” e delle “tasse piatte”, quelli degli aiuti al ceto medio e a coloro i quali in questo periodo abbiano «dimostrato di valere e si siano rimboccati le maniche».
 
Uno “gnommero di concause”
La bagarre e la totale confusione mediatica a cui è stato esposto il Governo per più di 24 ore ha fatto sì che alle 17:02 di un infuocato martedì di metà dicembre Giovanni Toti abbia avuto modo di dichiarare, come si era letto in un lancio d’agenzia, la propria contrarietà all’abolizione dello Spid (il sistema pubblico di identità digitale). Non avrebbe avuto neanche torto – semel in decennio! – l’ex presidente della regione Liguria, dal momento che tutto è nato sabato [18 dicembre 2022]. Una tra le tante polemiche legate alla Legge di bilancio.
Alessio Butti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica, intervenendo all’iniziativa di festa e dibattito per i dieci anni dalla nascita di Fratelli d’Italia, ha dichiarato di voler «spegnere gradualmente Spid» al fine di «facilitare l’azione delle nostre imprese e dei cittadini con la Pubblica amministrazione […] e avere la carta d’identità elettronica come unica identità digitale».
Il giorno successivo, Butti ha indirizzato una lettera al Direttore del «Corriere della Sera» in cui ha precisato quanto aveva detto e che era stato riportato dai giornalisti del quotidiano: «l’intenzione non è quella di eliminare l’identità digitale, ma averne solamente una, nazionale e gestita dallo Stato […] Lo facciamo per semplificare la vita digitale dei nostri cittadini, per aumentare la sicurezza (perché più credenziali e strumenti di accesso significano più rischi), per rendere più accessibili i servizi digitali e, infine, per risparmiare (perché SPID ha un costo per lo Stato). La Carta d’Identità Elettronica è un’identità digitale equivalente e sotto diversi profili migliore rispetto allo SPID».
 
Parlamento, questo sconosciuto
Le opposizioni tutte abbandonano l’aula: dal Pd ad Azione/Iv per passare al Movimento 5 Stelle fino ad arrivare alla lista di Sinistra italiana e Verdi. Le motivazioni con cui hanno indirizzato la protesta nei confronti del Governo è, però, la sola gestione d’aula. Tonante, Serracchiani (capogruppo Pd alla Camera), ha dichiarato: «Ennesimo rinvio: questa mattina [20 dicembre] eravamo convocati alle 13, ora ci hanno detto che prima delle 16.30 – 17 non ci saranno testi da visionare. Noi, più che metterci tutto il senso di responsabilità che ci ha sempre contraddistinto, non possiamo. Direi che siamo oltre ogni limite accettabile e tra l’altro si pregiudica anche la possibilità che la manovra arrivi in Aula domani come era previsto».
Il punto è che il Parlamento è stato privato della propria autorità e autonomia già da tempo: un processo cui il Partito democratico (e il centrosinistra variegatamente composto) non ha mai messo in discussione o interrotto. Da decenni le opposizioni extraparlamentari, i docenti universitari e la variegata galassia della società civile andavano denunciando quel che accadeva in Parlamento, attraverso lo stravolgimento totale della procedura democratica. Vale la pena riprendere le parole del professore Gaetano Azzariti, affidate ad un articolo pubblicato del 2019 da «il manifesto» nei primi giorni del nuovo Conte II: «In questi giorni si è giunti ad umiliare il Parlamento e a stravolgere la procedura di approvazione delle leggi, le commissioni parlamentari sono state rese impotenti, messi a tacere i parlamentari, cancellata la discussione, imposta l’approvazione su un testo che non è stato possibile conoscere e il cui contenuto è stato deciso dal governo, contrattato riservatamente ed esclusivamente con i responsabili dell’Unione europea. La democrazia “parlamentare” è stata sospesa».
Si potrebbe aprire un dibattito nel dibattito di come, sistematicamente, da un trentennio ogni esecutivo faccia ricorso alla decretazione d’urgenza per mettere in salvo il proprio provvedimento, o alla votazione di fiducia.
È di quest’ultimo ventennio, in effetti, l’espressione del Parlamento “passacarte” del Governo. Il Pd, oggi all’opposizione, contesta un modus operandi (che era stato fatto proprio dai democratici) non nella sostanza, rimanendo sulla forma. Niente di nuovo sul fronte occidentale, verrebbe da dire.
L’emendamento “Salva Serie A”
«Il Governo Meloni ha tolto 230 milioni di euro dalla 18App e regala 890 milioni alle società di serie A. Uno schiaffo alla cultura, uno schiaffo ai giovani, una marchetta ai presidenti di un calcio pieno di debiti», tuona Matteo Renzi (Iv) a mezzo stampa e social network, che ha proseguito: «mettono [soldi] per le società di serie A per i presidenti indebitati e spesso incapaci: nel resto del mondo il calcio funziona con i diritti televisivi, con i finanziamenti e con gli investimenti stranieri e nazionali».
Di investimenti stranieri, in realtà, il calcio europeo è pieno e non pare stia andando a gonfie vele (tra emiri, holding, presidenti cinesi, thailandesi e chi più ne ha più ne metta). Eppure l’ex segretario del Pd ed ex primo ministro ha deciso di assumere la posizione in favore di investimenti esteri all’interno del calcio italiano. Come se le ultime vicende di cronaca fossero passate totalmente in second’ordine.
La pietra dello scandalo sarebbe il cosiddetto “emendamento Salva Serie A” arrivato tramite l’iniziativa del senatore di Forza Italia (e presidente della Lazio) Claudio Lotito il quale, stando alle fonti giornalistiche della settimana trascorsa, sarebbe stato promotore del dialogo tra maggioranza e opposizione per la scrittura di un emendamento al decreto “aiuti quater” che prevederebbe la rateizzazione in cinque anni delle tasse delle società sportive, senza sanzioni. Dal Governo, Abodi ha stigmatizzato e, nella mattina di martedì [20 dicembre] ha dichiarato che «le società sportive pagheranno tutto […] dunque fino a 60 rate e con gli interessi».
 
“Questo modello di calcio ha fallito”
Chi si pone contrariamente è chi lo sport lo vive in maniera completamente diversa rispetto alla estrema finanziarizzazione e speculazione del calcio moderno. Non siamo nell’iperuranio ma nella periferia romana.
«Siamo alle solite: il calcio rappresenta il volto esteriore di sistema finanziario che non è più in grado di reggersi autonomamente Ogni tot il pubblico deve riuscire a trovare dei soldi (beninteso: che uscirebbero dalle tasche della collettività) per poter garantire la salvezza di un baraccone che altrimenti non starebbe più in piedi con le proprie gambe», a parlare è Nicola Cuillo, dell’assemblea organizzativa del “Borgata Gordiani”, squadra polisportiva (calcio a 11 maschile e futsal femminile) della omonima periferia romana. Contattato da «Atlante Editoriale», Cuillo ha proseguito: «O si prova a ragionare su un nuovo termine di organizzazione del calcio professionistico, per cui anche quelli che sono i soldi investiti dalle società si reimmetterebbero in un meccanismo di sostenibilità economica, oppure si dovrà fare i conti col fatto che questo sistema-calcio non può reggere. Soprattutto: non può reggere sulle spalle dei lavoratori e dei privati cittadini che pagherebbero due volte: lo sperpero di denaro e, poi, costretti a rimetterci di tasca loro». Si chiama “calcio popolare”, ovvero: il tifoso è proprietario del club di cui ne anima la vita e ne permette l’esistenza. L’asse su cui poggia il “Borgata Gordiani” è uno e sono le persone. «Non abbiamo il piano finanziario come “mantra” assoluto – sostiene Cuillo -: se entra 5 spendiamo 5, senza plusvalenze o speculazioni».
E non importa se il “Borgata Gordiani” gioca la seconda categoria laziale: l’importante è partire e testimoniare, rendendola possibile, un’idea diversa di calcio.
Marco Piccinelli

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